PEZZI
SI VIVE PER IMPARARE A RESTARE MORTI TANTO TEMPO
Spettacolo vincitore Roma Fringe Festival 2019
regia e drammaturgia Laura Nardinocchi
con Ilaria Fantozzi, Ilaria Giorgi, Claudia Guidi
scene Ludovica Muraca
musiche Francesco Gentile
luci Paride Donatelli
produzione Florian Metateatro – Rueda Teatro – Theatron Produzioni
PRESENTAZIONE PROGETTO
Un lavoro di scrittura scenica. Un lavoro lungo. Un lavoro che ha assorbito il nostro tempo e le nostre energie per circa nove mesi. Un processo attento e preciso. Un processo in cui si sono condivisi quadri, immagini, pensieri, poesie, esperienze, spaccati di vita. Un processo che, passo dopo passo, ha dato vita ad uno spettacolo. Uno spettacolo che parla di morte, di ricordi, di paure. Che parla di legami, di dolore, di vissuti. Che parla alle madri, ai padri e ai figli. Che parla di famiglia. Che parla ad ognuno e di ognuno di noi.
NOTE DI REGIA
Una casa. Una famiglia. Una madre e due figlie.
È l’otto dicembre. L’albero di Natale va preparato.
Come fanno tutti. Come si fa sempre. Come tutti gli anni.
Rami, palline, luci, festoni.
L’albero è ingombrante.
È difficile capirsi, trovarsi, incontrarsi.
È difficile parlare, stare nel silenzio è insopportabile.
È difficile evitare di ricordare.
“La memoria ha il movimento della marea. Puoi solo subirla e semmai scansarti, se proprio non vuoi bagnarti i piedi”
È l’otto dicembre. Tre donne, una madre e due figlie devono preparare l’albero di Natale.
Impilare i tanti pezzetti di legno di varie misure, posizionare le luci, prendere le giuste palline, decidere come e quante metterne. Una serie di operazioni che si devono fare insieme, che richiedono tempo e pazienza.
Le tre donne parlano a volume molto alto, in un italiano imbastito dal dialetto caprolatto.
Con il loro chiamarsi di continuo, le loro voci strillanti che si sovrappongono e i loro gesti nevrotici le tre donne cercano in tutti i modi di creare un pieno che non lasci spazio al silenzio. Perché il silenzio è un vuoto e il vuoto fa male. Tutte devono fare i conti con un dolore che le accomuna. La perdita di un marito, di un padre. Un’assenza asfissiante e per questo continuamente presente.
Quest’assenza le unisce e le divide al tempo stesso, in quanto ognuna di loro la abita in modo diverso. Il loro rapporto con il lutto si svela grazie alla posizione che ognuna assume rispetto all’azione cardine di tutto lo spettacolo: fare l’albero di Natale.
La madre vorrebbe che tutto fosse perfetto, che le figlie riuscissero a godere della magia del Natale, cercando di fare finta di niente, senza relazionarsi all’assenza. Lei infatti è sempre fiera e trattenuta davanti alle figlie ma, quando è sola, viene sopraffatta da momenti di sconforto o travolta da improvvisi slanci di vita: “Io voglio ballare il tango”.
Marina, la figlia maggiore, adolescente, al contrario della madre non vuole festeggiare: “Io non faccio regali quest’anno”. Lei fa intravedere solo la sua rabbia, cerca di tappare i suoi pensieri che a volte escono fuori ma solo in modo scontroso. Vorrebbe riuscire a condividere il suo dolore ma non sapendo come fare, è smaniosa di prendere il volo, di realizzare i propri desideri e cercare un altrove in cui non pensare più. Maria invece, la figlia minore, non ha la percezione di quanto accaduto, pensa ancora che il padre possa arrivare da un momento all’altro: “E quindi quando torna?”. Per questo, infatti, vuole un Natale esattamente uguale a quello passato: stesse palline, stessi regali, stessi vestiti, stesse portate, stesso numero di ospiti. Nulla, nulla deve cambiare.
La lunga preparazione dell’albero è rotta soltanto da due momenti in cui, senza volerlo, le tre donne si trovano a fare i conti con quei ricordi che non riescono a far sbiadire.
Tali flashback interrompono l’azione narrativa per fornire al pubblico una maggiore conoscenza di ciò che è accaduto tempo prima: le vediamo nel momento in cui si sono ritrovate a mettere via le cravatte del padre e durante il funerale, dove unite e sostenendosi a vicenda sono davanti alla tomba, pronte a ricevere i saluti e gli abbracci, in molti casi di circostanza, di amici e parenti: “Siete tanti, tantissimi!”.
Solo alla fine, una volta che l’albero è stato completato, le tre donne capiscono che il dolore non si può vincere ma solo trasformare. Riescono a ritrovarsi e hanno voglia di ricordare con gioia la figura del marito/padre. Distruggono il vecchio albero per trovare il loro nuovo modo per celebrare il Natale.