OCCHIOPIN

 regia e drammaturgia Laura Nardinocchi
con Livio Berardi, Leonardo Bianchi, Ottavia Della Porta, Francesco Sannicandro
scene Laura Nardinocchi
musiche Francesco Gentile
foto e video Peter Ranalli
produzione Florian Metateatro – Rueda Teatro 

NOTE DI REGIA

Una città di provincia. Una società come tante altre.
Tutti credono nei medesimi ideali.
Tutti vivono in case uguali fra loro.
Tutti si vestono, si salutano e camminano allo stesso modo.
Nessuno vuole differenziarsi. È troppo rischioso.
Ma un giovane adolescente decide di provarci.
Lui, ha solo una certezza.
È pronto a combattere.
È pronto a dire la sua.
È pronto ad esprimersi.
È pronto a ribellarsi.


Agendo, forse, qualcosa potrà cambiare. Forse.  

OcchioPin è un progetto di scrittura scenica che si ispira all’opera di Fabian Negrin “Occhiopin – nel paese dei bei occhi”, riscrittura del classico collodiano.
Tutto si basa su alcune domande cardine: Si può scegliere di essere diversi? Si può davvero essere liberi? Cosa si è disposti a fare per la propria libertà?
E queste domande attanagliano anche  Occhiopin, l’unico adolescente in un mondo di adulti.
Gli adolescenti conservano tutta l’ingenuità tipica dei bambini.
Gli adolescenti sentono più forte di chiunque altro il bisogno di esprimere la propria identità.
Gli adolescenti rifiutano le sovrastrutture, l’omologazione, i luoghi comuni, gli schemi precostituiti. Vogliono cambiare le cose, cercano una propria modalità di ribellione.
Ma nel far questo sono spesso ostacolati da una società che diffida nel cambiamento; L’abitudine è una sana prigione. Protegge dal cambiamento. Il cambiamento è dannoso, può portare a star peggio.

E questo è quello che accade ad Occhiopin. Lui cerca un confronto con gli altri, pone delle domande alle persone più grandi, al mondo degli adulti. La sua mente è attanagliata da molti “perché” a cui nessuno può e vuole rispondere; tutti reagiscono ignorandolo, disprezzandolo, rifiutandolo, escludendolo; non sono pronti a mettere in discussione le proprie certezze.
Per porre rimedio al clima destabilizzante da lui creato deve intervenire la Fata, rappresentazione del potere normativo. Lei proclama dei principi apparentemente sani, giusti, come l’uguaglianza e il rispetto delle regole ma, che estremizzati, portano a soffocare la libertà del singolo individuo. 

L’uomo non è capace di essere libero. L’uomo non sa che farsene della libertà. La libertà lo condanna ad essere infelice. L’uomo ha bisogno di sicurezze. L’uomo è sicuro se non sceglie. 

Così, ogni volta che Occhiopin non rispetta le regole imposte lei, da buona madre, deve punirlo. Lo rende un burattino, gli toglie la parola, e infine gli affida una coscienza, uno spirito intelligente che diviene la sua ombra, dal quale lui non può distaccarsi.
In questa sua battaglia Occhiopin non viene sostenuto neppure dalle persone su cui pensava di poter contare. Gli amici coetanei si prendono gioco di lui e il padre rifiuta l’idea di avere un figlio diverso dagli altri, che lo faccia vergognare. L’unica persona nella quale trova conforto e vicinanza emotiva è un barbone che, proprio come lui, vive una condizione di esclusione e di emarginazione da parte della società. Occhiopin combatte fino all’ultimo ma quando non ci sono più possibilità, quando la speranza di essere libero si frantuma, sceglie la via del suicidio. È lo stesso barbone che mette il corpo di Occhiopin davanti agli occhi di tutta la società, la vera responsabile della sua morte. 

Così, alla fine, rimane solo il corpo di un ragazzo ormai privo di vita, le cui speranze, sogni e desideri risuonano ancora nell’aria. È soprattutto in questo finale che la trasposizione teatrale si distacca dalla fiaba di Fabian Negrin: per lui la morte porta una trasformazione del corpo del ragazzo, che da bambino diviene un albero, mentre per noi la morte di Occhiopin non modifica lui stesso ma genera un cambiamento in chi resta: infatti il padre si rende conto dei suoi errori solo quando ormai è troppo tardi, solo durante la sepoltura del figlio. 

Lo spettacolo affronta importanti tematiche con chiarezza e spontaneità da giovani che vogliono parlare alla propria generazione, non per dare risposte ma per far nascere delle domande.

– Valentina Meriano, Lo Sbuffo –

Linguaggio fisico, recitazione grottesca, musica e sinergia vibrante tra ogni parte del tutto. Efficace -nella sua geniale semplicità- la rappresentazione di una società composta da identici individui omologati ad identici gesti con ritmi che si ripetono, senza mai risultare noiosi, perfettamente scanditi dalla musica del basso presente in scena.

– Van Hessen, Milano Hall news –

Interessante la ricerca di un linguaggio nuovo e personale, guidato con mano già sicura e con la capacità di aprire spazi e fare domande.

– Silvio Oggioni, Teatro del Buratto –

Un gioiellino del teatro off: OcchioPin propone un’idea drammaturgica e diverse idee registiche convincenti: dalla scelta dei movimenti scenici alla costruzione di una scenografia semplice ma simbolica ed evocativa, all’alternanza dei toni surreali, simbolici e fiabeschi.

– Laura Timpanaro, Saltinaria –

L’opera, per la regia e la drammaturgia di Laura Nardinocchi, dimostra di scatenare riflessioni che trovano diverse chiavi di lettura. Buono il lavoro sul corpo che tutti gli attori mostrano con professionalità. Si vive il rifiuto, la disobbedienza, la non accettazione del diverso, sentimenti che portano inevitabilmente al suicidio del singolo e al cinismo della collettività.

Annalisa Civitelli, Brainstorming culturale –